Cos’è il cyberbullismo

Il cyberbullismo ha assunto negli ultimi anni una rilevanza sociale e giuridica tale che ormai chiunque – non più solo coloro che a vario titolo frequentano i minori – è chiamato ad interrogarsi su di esso e sugli strumenti che la società deve adottare per prevenirlo e per gestirlo.

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Ancor più allarmante, poi, è diventata l’ampiezza del fenomeno in questo anno 2020, in cui le restrizioni alla libertà di movimento provocate dalla pandemia in atto hanno incrementato sensibilmente le relazioni online e, di conseguenza, anche il numero e la gravità degli episodi di cyberbullismo.

Perciò è importante capirne i contorni, anche giuridici, per affrontarlo nel modo corretto ed insegnare ai ragazzi a fare altrettanto.

Il cyberbullismo è una forma “moderna” di bullismo, che sfrutta le nuove tecnologie per realizzare atti di prevaricazione.

Dunque, la prevaricazione - ossia la prepotenza, anche solo verbale, del soggetto più “forte” a danno di una vittima vista come più debole - rappresenta il tratto caratterizzante del cyberbullismo.

Ne deriva, come prima e significativa conseguenza, che non tutti i messaggi, divulgati online, offensivi o lesivi della dignità o della privacy altrui sono qualificabili come “cyberbullismo”, ma solo quelli caratterizzati da un rapporto di forze non paritario: il conflitto è parte “fisiologica” della relazione tra soggetti, soprattutto adolescenti, e quando quei messaggi si inseriscono in questo conflitto “paritario” potranno violarsi delle norme, e magari commettere dei reati (a partire dalla diffamazione), ma non necessariamente si verificherà un episodio di (cyber)bullismo.

Il cyberbullismo parte dunque da questa nozione.

Ad identificarlo, poi, ha pensato il legislatore, che ha disciplinato il fenomeno nella L. 29.05.2017 n. 71.

Secondo la legge (art. 1) “per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

Questi gli elementi che il legislatore identifica come caratterizzanti del fenomeno:

  • l’ampio ventaglio di comportamenti che possono qualificarsi come cyberbullismo, alcuni dei quali rappresentano forme di reato – che prevede dunque una sanzione penale - mentre altri hanno una sanzione solo civilistica (p. es. risarcimento del danno) e/o amministrativa (come l’ammonimento)

  • l’identificazione della vittima come soggetto minorenne (“in danno di minorenni”)

  • lo scopo del cyberbullo, che deve essere, in modo intenzionale e predominante, quello di isolare un minore o un gruppo di minori

  • l’effetto materiale del comportamento del cyberbullo, che deve realizzare “un serio abuso, un attacco dannoso o la (…) messa in ridicolo” della vittima.

Tenendo conto delle caratteristiche ora elencate, appare chiaro che non si rientra nel “cyberbullismo” quando lo scambio di offese online è reciproco, occasionale e paritario: in questi casi potranno commettersi anche reati ma l’episodio non sarà disciplinato dalla legge n. 71/2017 in materia di cyberbullismo.

Inoltre, come già messo in evidenza, il cyberbullismo non si identifica con uno specifico reato, ma è la somma di più comportamenti che, presi ognuno per proprio conto, possono determinare una responsabilità dell’autore (e, se minorenne, di chi doveva educarlo e custodirlo) sia sul piano civile che su quello penale, a seconda delle diverse caratteristiche che in concreto l’episodio manifesta.

Ad esempio, se il cyberbullo prende in giro o offende ripetutamente un compagno sulla chat di classe - alla quale partecipano naturalmente più persone, anche se queste ultime si limitano ad essere spettatori passivi - questo comportamento rientra nella definizione del reato di diffamazione e potrà portare sia alla responsabilità penale diretta del cyberbullo (se ha compiuto i quattrodici anni) e sia alla responsabilità civile sua (purché capace di intendere e di volere) e dei suoi genitori e insegnanti.

Se, invece, la chat su cui si esprime l’offesa è solo tra il cyberbullo e la vittima, quell’offesa (di cui i terzi non possono venire a conoscenza) si qualifica come “ingiuria”, che è ormai depenalizzata come reato. Perciò non si aprirà un procedimento penale a carico del cyberbullo, mentre rimarrà ferma la responsabilità civile sua e dei suoi genitori (ed eventualmente dei suoi insegnanti), che li obbligherà a risarcire il danno materiale e morale subito dalla vittima.

In conclusione, il cyberbullismo rappresenta un fenomeno variegato e dai molteplici aspetti. In ogni caso, però, esso non è indifferente per la legge, ma comporta la responsabilità, in forme più o meno gravose, sia del cyberbullo che di coloro che devono educarlo e vigilare sui suoi comportamenti.

E’ quindi importante essere consapevoli del valore antigiuridico dei comportamenti che, spesso con molta superficialità, vengono realizzati in Rete ed è ancor più importante insegnarlo ai ragazzi, che devono essere educati a capire che le loro azioni comportano sempre una responsabilità, propria e degli adulti di riferimento, davanti alla legge quando violano i diritti altrui.

Giovanna Tucci – Avvocato

Comitato tecnico scientifico FARE X BENE ETS